domenica, dicembre 28, 2008

Nel frattempo, tanti auguri.

Starò via qualche giorno, voi statemi bene. Ci sentiremo dopo sabato prossimo.

sabato, dicembre 27, 2008

come ti gabba l'avversario il Cav.

Il primo che, dopo aver sperato di leggere anche solo una virgola e averla infine ottenuta, dicesse: “ora vattene via dall’Italia”, dimostrerebbe solo quanto Berlusconi abbia effettivamente ragione riguardo le intercettazioni.

Etichette:

I've got my radio on and it's playin' the same ol' stupid song

Quest’anno mi sono particolarmente piaciuti:
Counting Crows – Saturday Nights & Sunday Mornings
dEUS – Vantage Point
Extreme – Suadades de Rock
Le Luci della Centrale Elettrica – Canzoni da Spiaggia Deturpata
The Cure – 4:13 Dream
The Dresden Dolls – No, Virginia
The Hellacopters – Head Off

Non mi sono dispiaciuti affatto:
Ac/Dc – Black Ice
Amanda Palmer – Who Killed Amanda Palmer
Bauhaus – Go Away White
Beck – Modern Guilt
Big Blue Ball - omonimo
David Byrne & Brian Eno – Everything That Happens Will Happen Today
Def Leppard – Songs From The Sparkle Lounge
Have A Nice Life - Deathconsciousness
Jesse Malin – On Your Sleeve
Lambchop – Oh (Ohio)
Nick Cave & The Bad Seeds – Dig, Lazarus Dig!!!
Nine Inch Nails – Ghosts I-IV
Portishead – Third
Slipknot – All Hope Is Gone
The Mars Volta – The Bedlam In Goliath
TV On The Radio – Dear Science
Uriah Heep – Wake The Sleeper
Yellowjackets feat. Mike Stern – Lifecycle

Non mi hanno detto nulla – i sopravvalutati:
Destroyer – Trouble In Dreams
Paul Weller – 22 Dreams
Rachael Yamagata – Elephants / Teeth Sinking Into Heart
Cat Power – Jukebox

Da dimenticare:
Asia – Phoenix
Backyard Babies – omonimo
Ginger – Market Harbour

Ciofeche:
Motley Crue – Saints of Los Angeles (a malincuore)
The Wildhearts – Stop Us If You’ve Heard This One Before vol. 1
Queen + Paul Rodgers – The Cosmos Rocks

[Parentesi: le Luci della Centrale Elettrica, ovvero Vasco Brondi coadiuvato da Giorgio Canali (ex CCCP/CSI), hanno fatto un gran bel disco, checché se ne dica ora in Italia. Ho voluto sottolineare ora perché, come spesso capita, fino a quando la cosa rimane moooolto underground sono applausi poi, non appena si ha un minimo di successo che non è decretato né dai passaggi a Scalo 76 (si chiama così quella trasmissione in onda su Rai 2, un po’ patetica e un po’ traino per X Factor?) né dalle ragazzine ai concerti ma in cui evidentemente gioca il suo ruolo una certa qualità, via con gli insulti.]

Etichette: ,

venerdì, dicembre 26, 2008

la stronzata di Natale è stata detta, tutti gli altri si son salvati.

A me Giovanni Allevi non è mai stato sul cazzo, a differenza di quanto succede nel mondo accademico della musica. Loro non lo sopportano, e se gliene chiedi il motivo, mai che tirassero fuori qualcosa di realmente musicale – che pure ci sarebbe da dire. Niente, iniziano un po’ imbarazzati ad ammettere che a loro dà fastidio quel suo modo un po’ stralunato di porsi durante le interviste, di raccontare come nasce questo o quel pezzo, di “fingere” uno sforzo artistico che invece non ci sarebbe; solo alla fine, quando tu sei lì che li guardi un po’ storto mica per superiorità ma solo perché davvero non capisci le loro argomentazioni, ti dicono qualcosa sulla musica: “è di una banalità sconcertante” – e tu ne capisci un cazzo tale e quale a prima. Prendete la reazione del maestro Uto Ughi [La Stampa, 24.12.2008] il quale, commentando la recente direzione del concerto di Natale al Senato, di Allevi dice che gli provoca “fastidio”, che è “presuntuoso e mai originale”, che “è privo di umiltà”, che è “un nano non solo in confronto a Horowitz, ma anche in confronto a Mina”, che “in altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio”. Minchia, uno come minimo pensa che Ughi stia un po’ rosicando, nella sua casetta di Busto Arsizio, e che il concerto al Senato avrebbe magari voluto dirigerlo lui. Poi arriva la domanda finale, e l’intervistatore chiede all’intervistato di commentare una frase di Allevi che fa così: “La mia musica avrà sulla musica classica lo stesso impatto che l'Islam sta avendo sulla civiltà occidentale”. Ughi risponde, ma non è questo il punto. Il punto, adesso come adesso, è concedere al mondo musicale accademico, ai vecchi tromboni elitari e ghettizzanti della musica colta, di massacrare Allevi. Per favore.

Etichette: , ,

mercoledì, dicembre 24, 2008

Yes, Virginia, there is a Santa Claus.

Nel settembre del 1897 una bambina di 8 anni, Virginia O’Hanlon, scrisse una lettera all’allora direttore del quotidiano New York Sun per chiedergli quanto segue: siccome alcuni miei amichetti mi hanno detto che Babbo Natale non esiste, e mio papà invece mi ha detto che se il Sun dice che esiste allora esiste, “per favore mi dica la verità: esiste Babbo Natale?”. La lettera funse da spunto per un editoriale – e fu pubblicata all’interno di esso – uscito nell’edizione del 21 settembre 1987 con il titolo “Esiste Babbo Natale?”. La sua frase più famosa – che poi è anche la risposta che il direttore diede alla piccola Virginia – è “Sì, Virginia, Babbo Natale esiste”. Auguri.

martedì, dicembre 23, 2008

la pagina 69 di Marshall McLuhan - 3

Arbasino sa da anni che quando uno scrive un romanzo va trattato con condiscendenza, come si fa con i deboli di nervi, quelli che hanno avuto una malattia grave che li ha scossi in profondità, oppure quelli che la moglie sessantenne si è messa con uno scrittore di racconti rock o punk, comunque venitreenne molto tatuato, e loro vanno in giro con gli occhi fuori dalle orbite sperando che qualcuno li consoli (magari una ricercatrice universitaria comme il faut). Ricorda che si era espresso con misurata freddezza quando Eugenio Scalfari, venerato per quasi tutti i lettori della «Repubblica», gli aveva confessato che aveva consegnato all’editore un suo romanzo, dove romanzava la vita dell’Avvocato, proprio lui, Gianni Agnelli.
Edmondo Berselli, Venerati Maestri – operetta immorale sugli intelligenti d’Italia, Milano, Mondadori, 2006, p. 69

Etichette:

chi di manetta ferisce...

Il tritacarne mediatico, le intercettazioni pubblicate sui quotidiani, la merda gettata nei ventilatori sono uno schifo a prescindere da chi riguardano o chi vogliono colpire. Perciò leggere delle telefonate tra Cristiano Di Pietro e tale Mario Mautone – uomo di fiducia di Alfredo Romeo – non è bello. Ma è curioso, perché c'è sempre coinvolto il figlio di Tonino Di Pietro, l'uomo dalle mani pulite, il grande moralizzatore, il manettaro per eccellenza. E il figlio di Di Pietro parla proprio come quelli che il padre vorrebbe sbattere in carcere: “ho un amico ingegnere che sta a Bologna, volevo sapere se su a Bologna c'era la possibilità di trovargli qualcosa” - roba poco morale, che continua con richieste di sistemazione per persone a lui care e segnalate anche al di fuori degli ambiti di competenza istituzionale. Noi queste cose le apprendiamo adesso, Di Pietro senior però sapeva già tutto a metà del 2007 tanto da aver chiesto in un assemblea politica del partito di cui è padre-padrone di tenere fuori il figlio da certe cose perché “troppo esposto”. E come ha saputo Di Pietro di questa eccessiva esposizione della sua progenie? “Dalle agenzie di stampa”. Peccato solo che a metà del 2007 nessuna agenzia di stampa – se si fa una ricerca in archivio – ha mai riportato niente circa le cose che stanno emergendo ora. Da dove gli è arrivata dunque la soffiata?

Etichette: ,

lunedì, dicembre 22, 2008

sulla questione dei generi, il Papa ha ragione

Il Papa, durante l’incontro con la Curia per gli auguri di Natale, ha criticato il “pensiero gender”, in altre parole quelle tendenze per cui non ci si riconosce nel proprio corpo di determinato sesso – uomo o donna – tanto da volersene liberare mediante operazioni chirurgiche o altri tipi di cura. Per la Chiesa, ha ribadito il Papa, questo tipo di pensiero è “pericoloso e autodistruttivo” essendo Dio che “decide chi è uomo e chi è donna” – e credo che nessuno possa ritenere opinabile questo pensiero da un punto di vista cattolico. E anche uscendo da quel punto di vista, è evidente che si nasce sessuati. Comunque, quanto affermato da Benedetto XVI è cosa ben diversa dal criticare l’omosessualità la quale, come dice la parola stessa, indica invece una inclinazione erotica – certo in un’accezione ampia del termine, comprendente anche la sfera intellettuale o affettiva – verso soggetti dello stesso sesso. Qualcuno però sembra non capire, e si scaglia contro le parole del pontefice al grido di “la Chiesa se ne faccia una ragione dell’esistenza della gente frocia”, dove il “frocio” è evidentemente da intendersi come persona omosessuale e non come trans-gender e dove il dover “farsene una ragione” da parte della Chiesa sottintende più che un giudizio di quest’ultima una discriminazione. Una differenza, seppur sottile, tra l’omosessualità e un andare oltre il “genere” [gender] sessuale, invece c’è: un omosessuale uomo, per esempio, prova attrazione per un altro uomo, ma si riconosce come persona di sesso maschile seppur a volte presentando alcune movenze e caratteristiche comportamentali tipiche di una donna. Al contrario, un uomo che non si riconosce nel suo essere maschio e desidera “trasformarsi” – parzialmente o totalmente – in femmina, spesso poi è attratto da persone di sesso maschile giacché si sente – e, sessualmente, magari è – donna e non più uomo; più che di omosessualità classica, si potrebbe parlare un po’ bislaccamente di omosessualità “transitiva”, o qualcosa del genere (sono uomo attratto da un uomo perché mi sento donna). Per questo la critica di cui sopra, anche solo per una questione di identità e di tipi sessuali, mi pare non tanto errata quanto proprio inutile: si è voluto colpire un bersaglio che non esisteva. O, meglio, che non esisteva in quello specifico caso, perché forse chi ha mosso l’accusa ha fatto un po’ di confusione con le recenti vicende di cronaca. Per esempio, può aver confuso l’uscita del Papa con quanto successo a proposito della petizione proposta dalla Francia all’Onu per la depenalizzazione dell’omosessualità. In quel caso il Vaticano si è opposto, precisando chiaramente che la parte non condivisa del documento non era quella riguardante la ferma condanna delle discriminazioni contro gli omosessuali (definita in una nota della Santa Sede una “giusta condanna”), bensì tutto il contorno che parlava di “orientamento sessuale” e di “identità di genere” (cui appunto ha fatto in seguito riferimento Benedetto XVI), dentro il quale la Chiesa ha intravisto – secondo il suo legittimo punto di vista – la possibilità di introdurre questioni come l’allargamento dell’unione matrimoniale anche alle coppie omosessuali o la possibilità per quest’ultime di adottare dei bambini, oltre che – come appena dimostrato – un’evidente differenza tra una questione omosessuale e una di genere sessuale. La Chiesa, in sintesi, ha probabilmente visto minata l’istituzione della famiglia tradizionale, fondata sull’unione di un uomo con una donna; si è espressa coerentemente con il suo pensiero e con il ruolo religioso che ricopre. La discriminazione nei confronti degli omosessuali non c’entra nulla – perché non esiste – ma evidentemente funziona sempre come pretesto per attaccare.

Etichette: , ,

domenica, dicembre 21, 2008

scommettiamo che dopo questo post le visite aumenteranno?

Un po’ di statistica, giusto per rendermi conto di come e perché la gente passa da queste parti. Tralasciando la provenienza dai motori di ricerca (tra i quali Google stravince) o dagli aggregatori (al primo posto Tocqueville), concentriamoci sulle chiavi di ricerca. Pare che Ordine Generale sia raggiunto da gente che cerca, tra le tante, le parole o espressioni (in ordine decrescente): “mutande donna”, “perizoma”, “scopare”, “cane cazzo”, “ma come si fa buon sesso orale?”, “finanziamenti pubblici editoria”, “malattie cardiovascolari”, “mangiare smegma”, “masturbazione femminile con semi avocado”, “milly d’abbraccio patata”, “mi chiamano con numeri strani”, “morgan applicato alla vita i puntini di sospensione”, “numero sotto controllo”, “Nuovo Psi”, “statistiche vendita quotidiani in italia”, “vendita musica online”, “video porno ragazza ripresa dal suo ex mentre fa una sega”, “Vladimir luxuria wikipedia”.
Per chi mi taccia, tra l’altro a ragione, di essere un berlusconiano, segnalo che la voce “Silvio Berlusconi” non compare tra quelle inserite nei motori di ricerca per raggiungere questo blog. Compare il solo cognome, nell’espressione “voglio scrivere una lettera a Berlusconi come faccio”, con lo 0,09%.

Etichette: ,

venerdì, dicembre 19, 2008

...

Meno male che anche i lettori più coglioncelli servono a qualcosa: editato "accento" al posto di "apostrofo", ringrazio per avermi fatto notare il refuso e recito mea culpa per lo stesso. Ammetto che il post, macchiato dall'errore, perdeva di tutta la sua efficiacia. Rimane il fatto che la scritta - immagino ad opera di chi ha lasciato questo commento - è sbagliata.
Quanto al "coglioncello", caro lettore, non si offenda: un epiteto simpatico, nulla di più, che serve solo a identificarla non avendo lei avuto il coraggio di stamparsi un nome - anche uno pseudonimo va bene - in faccia prima di venire a pisciare nel mio cortile.
Non mi pare, sinceramente, di aver "buttato merda addosso" al vostro ex sindaco. E lungi da me dal farlo.
Saluti e si rilassi durante le feste di Natale, mi raccomando. Da parte mia, sarò lieto di intrattenerla con un po' di schifezze, se vuole passare da queste parti di tanto in tanto. Si ricordi solo di sgrollare, quando ha finito la pisciatina.

etciù! - maiale!

Di questo periodo capita una delle cose più fastidiose al mondo: lo starnuto. Tu sei lì seduto in metropolitana che ti fai i fatti tuoi e quello in piedi a ridosso di te ti starnutisce in faccia. O quello di fianco. Ti puoi salvare, per dire, se sei lesto di riflessi e pronto a proteggerti la faccia con il giornale, se stai leggendo. O puoi pensare che serva a qualcosa voltare la testa gentilmente, per non far sentire in colpa il povero influenzato. La cosa capita ovunque, certo, non solo sui mezzi pubblici; starnutisce il tuo vicino di scrivania, la persona che incroci per strada, un tuo famigliare – e prima imprechi e poi speri che i suoi germi non entrino nel tuo corpo. Sarebbe bello però focalizzare l'attenzione, anziché sui miliardi di batteri che vagano nell’aria, sul fatto che chi starnutisce sta pensando a cose zozze, o magari ha appena avuto un orgasmo (ovvio, non il tuo vicino di scrivania).

oppure smetti del tutto.

Fai bollire un cavolo e respirane i vapori, dormici sopra, passa tutta la vita ubriaco, fai sesso, fai un richiamino appena sveglio, bevi acqua, ingurgita robaccia chimica prodotta durante la guerra fredda. Questi i migliori rimedi per l’hangover.

giovedì, dicembre 18, 2008

Prima che morali, lessicali.

Al Tg5 delle 20 hanno mandato in onda un servizio sull’arresto dell'ex sindaco di Pescara Luciano D'Alfonso. Nel corso del filmato, è stata mostrata la sede del cittadino comitato elettorale del sindaco, sulle cui vetrine capeggiava la scritta “Il sindaco che fà per la città”. Il Devoto-Oli, il De Mauro e persino l’Accademia della Crusca garantiscono però che “fa”, terza persona singolare del verbo “fare”, non vuole l’accento sulla “a”. Nemmeno per fare rima con “città”.

mercoledì, dicembre 17, 2008

la brutta storiaccia della Ru486

Vediamo di riordinare i pensieri e fare per un attimo i seri, almeno a una settimana dal Natale. Dunque, c’è questa storia della pillola abortiva Ru486 che si vorrebbe introdurre anche in Italia e contro la cui introduzione Il Foglio ha già pubblicato un appello che vi consiglio di sottoscrivere. Di cosa si tratta? Di una pillola di mifepristone, uno steroide sintetico che inibisce lo sviluppo dell’embrione nell’utero. Di fatto, lo uccide. La sua azione, poi, è quasi sempre accompagnata dalla somministrazione di misoprostol, una prostaglandina che, causando contrazioni, facilità l’espulsione dell’embrione dal corpo della donna. L’azione combinata delle due, meglio conosciuta come “aborto chimico”, dovrebbe rappresentare una ‘svolta’ – se così possiamo chiamarla – per le donne: non prevedendo il ricovero in ospedale per un intervento chirurgico ma la sola somministrazione di pillole, ridisegnerebbe l’aborto come un metodo all’apparenza più sbrigativo di fare le cose, senza eccessivi traumi o ripercussioni psicologiche. Come se l’interruzione di gravidanza fosse una normalissima e banale operazione di routine, in barba alle leggi vigenti in Italia che prevedono invece l’opera di informazione sulle cause e sulle conseguenze che un’azione del genere può generare e lasciare. Non ci sono svolta né progresso, invece. Per prima cosa, di pillola Ru486 si muore: allo stato attuale sono ufficializzati cinque decessi tra Stati Uniti e Canada, due in Gran Bretagna e uno in Svezia, tanto che in America per pararsi la faccia – come si dice – la casa farmaceutica che produce quella che è già stata ribattezzata “kill pill” ha inserito nel bugiardino – che tanto, di solito, non legge nessuno – anche il termine “morte” tra gli effetti indesiderati. Seconda cosa, la Ru486 corre il rischio di banalizzare ulteriormente il dramma dell’aborto, equiparandolo ad un metodo contraccettivo e contribuendo ad accettare con eccessiva faciloneria un avvenimento mai ‘leggero’ e per il quale ci sono di mezzo sempre pesanti ripercussioni psicologiche. Scendendo a livello legislativo, in Italia allo stato attuale non sarebbe possibile permettere l’aborto tramite la pillola, e non solo perché l’Agenzia del Farmaco non ha ancora dato il suo parere positivo all’introduzione della Ru486. Come è ben noto, in Italia l’aborto è legale, ed è regolato dalla legge n. 194 del 22 maggio 1978. La quale prevede che l’intervento sia svolto all’interno di strutture accreditate (Art. 5) e che la sua attuazione non comporti rischi per la donna (Art. 15); e se già un farmaco causante decessi trasgredisce platealmente quest’ultima regola, è ugualmente evidente che la Ru486, somministrata in una struttura ospedaliera ma operante nelle ore (se non nei giorni) successivi e al di fuori di un ospedale, non si concilia nemmeno un po’ con la legge che in Italia disciplina l’aborto. Quanto poi sulla semplicità che il mandar giù un paio di pilloline dovrebbe portare con sé, basta solo aggiungere che c’è chi l’ha definita “l’esperienza più orribile della mia vita” o chi si è risvegliata con la febbre a 40 in una pozza di sangue dopo essere svenuta.
Dette queste piccole e semplici cose, che non sono frutto dell’ideologia e che chiunque può verificare leggendo il testo della legge 194 o facendo una ricerca sulla Ru486, è evidente che opporsi alla sua introduzione in Italia è il minimo che si possa fare. Non è una crociata contro l’aborto legale, perché nessuno vuole che si ritorni a quello clandestino, bensì l’esatto opposto: l’idea da sconfiggere è quella che vuole la Ru486 come un progresso e una facilitazione per la donna, quando invece rappresenta solamente un regresso anche rispetto alla legge 194, lasciando la donna in solitudine tra le mura domestiche a contorcersi magari sul pavimento in preda a dolori addominali, emorragie, vomito e febbre (tutti effetti collaterali riconosciuti), con un piccolo essere che dopo essere stato espulso viene magari smaltito nella tazza del cesso. Un progresso, nevvero?

Etichette: ,

martedì, dicembre 16, 2008

scarpe vecchie e vecchi scarponi

Mi chiama un amico e mi dice: “hai visto l’Unità? Hanno relegato in un angolino della prima pagina la notizia dell’azzeramento politico del progetto di Veltroni in Abruzzo”. Macché – gli ho risposto – se in prima ci hanno piazzato un vecchio scarpone.

Etichette:

lunedì, dicembre 15, 2008

un giorno, forse, si capirà che è una questione di cultura e di civiltà

La proposta di legge presentata oggi alla Camera, dopo il weekend di incidenti causati da pirati della strada ubriachi, prevede che il limite massimo di tasso alcolico consentito nel sangue per la guida passi da 0,5% a 0,2%. Sia detto con un pizzico di cinismo: è una proposta che non serve a nulla. Per prima cosa, infatti, ridurre il tasso alcolico a 0,2% equivale a non permettere di bere al conducente, nemmeno quel po’ che il tasso a 0,5% consentiva; il che non è necessariamente un danno, basta essere chiari a riguardo: poco equivalente al nulla sa di presa in giro, molto meglio proibire tout court. Secondo, anche ‘aggiornando’ i limiti, non si risolve il problema: di tutti i pirati della strada – o, generalizzando, di tutti i positivi all’alcool-test – quanti avevano un tasso alcolico dello 0,6%, ovvero di pochissimo sopra il limite consentito? Azzardo: nessuno. Tutti che lo avevano quasi doppio, se non triplo, rispetto a quanto consentito. Chi pensa, sinceramente, che abbassando il tasso gli irresponsabili si adegueranno? Terzo, mettiamo che da domani la proposta sia legge: equivarrebbe a dire che fino ad oggi lo stato ha tollerato che io fossi un potenziale assassino se, dopo essermi bevuto una birra media, ho guidato con un tasso alcolico nel sangue presumibilmente pari a 0,4%, perfettamente entro i limiti consentiti?

domenica, dicembre 14, 2008

Kindle-maniaci in divenire

E va bene, non siamo di quelli che si stava meglio quando si stava peggio e vogliono a tutti i costi scontrarsi con la tecnologia. Tutti abbiamo un telefono cellulare. E poi abbiamo una macchina fotografica digitale, un navigatore satellitare, un iPod, un iPhone, un Blackberry. A furia di mettere nel taschino tutto quello che ci serve – secondo ogni campagna pubblicitaria di prodotti tecnologici degna di questo nome, che sa sempre cosa sia o meno indispensabile per noi – non sappiamo più dove mettere un fazzoletto, o le chiavi della macchina, o una penna – abbiamo cercato nello store di Apple un’applicazione che permettesse di accendere le sigarette con l’iPhone ma non l’abbiamo trovata, per cui siamo costretti a lasciare a casa l’accendino e chiedere la cortesia al prossimo.
Il Kindle, ecco, quello ancora non l’abbiamo e prima di esserne investiti ne vorremmo parlare male. È un aggeggio di plastica bianca, prodotto da Amazon, dello spessore di una matita (ce lo suggerisce la foto, noi non avremmo mai pensato di cercare addirittura una matita per fare un confronto) che serve per leggere i libri in formato elettronico. Esatto, il famigerato e-book che tutti promettono da una vita, finalmente pare aver preso piede. Te lo porti in giro, è un po’ freddo, difficile da sottolineare per ovvi motivi tecnici, ma va bene anche così. Ovviamente il Kindle non lo leggi – e qui già c’è il primo problema di natura sintattico-lessicale: prima si parlava di «libro», e quindi «leggevi un libro», ora si parla di Kindle e quindi ti leggi questo; il trionfo del contenitore sul contenuto, ma il contenuto del libro era il libro stesso, quello del Kindle? – dicevo, non lo leggi perché non leggevi nemmeno quelli di carta, ma l’oggetto è del desiderio e d’altronde non vorrai far credere di navigare veramente in Internet con un telefonino, o di scattare foto tutto il giorno, o di aver bisogno di chi ti guida sulla strada per il supermercato, vero?
Il Kindle non l’abbiamo ancora perché da quando Oprah nel suo show ha detto che trattasi del suo gadget preferito, Amazon ha visto la sua scorta di Natale esaurirsi in poche ore, con previsione di evasione dell’ordine ai primi di febbraio se provate a comprarlo adesso. E poi non l’abbiamo ancora perché, come avvisa Amazon, al momento non è possibile comprarlo al di fuori degli Stati Uniti; cioè, è possiblissimo ma: o vai a comprarlo là oppure devi avere una carta di credito con fatturazione americana – vale anche l’amico che la possiede, certo. Nel frattempo, per portarti avanti, si possono comprare il caricatore di batterie da attaccare all’accendisigari, o una custodia verde pisello o qualche altra diavoleria, e poi raccontare agli amici di averlo in sostituzione perché il primo che ci è stato mandato era difettato. Con il Kindle ci si può leggere il New York Times, o i libri della classifica dei best seller del New York Times, nonché le nuove uscite e una seria in costante crescita di titoli classici. Tolti questi ultimi, gli altri facciamo già finta di leggerli su Internet – vogliamo far finta di leggerli anche per strada?

Etichette: ,

la pagina 69 di Marshall McLuhan - 2

L’abito da viaggio era leggero, in cotone estivo color fiordaliso, perfettamente intonato alle scarpe e scovato solo dopo ore e ore di andirivieni tra Regent Street e Marble Arch, per fortuna in compagnia di sua madre. Cingendo Florence in un abbraccio, Edward non intendeva baciarla, ma per prima cosa premere il proprio corpo contro il suo, e poi infilarle una mano dietro la nuca cercando la cerniera del vestito. L’altra mano, gliela teneva ben salda all’altezza delle reni, e intanto le bisbigliava qualcosa all’orecchio, ma così vicino e aun tale volume di voce che a Florence arrivò soltanto una zaffata rombante di aria calda e umida. Per aprire la cerniera, counque, una mano non bastava, almeno per i primi centimetri. Occorreva tenere dritto lo scollo dell’abito tirando giù, altrimenti la stoffa leggera si raggrinziva e rischiava di strapparsi. Florence sarebbe anche intervenuta per aiutarlo, ma aveva le braccia imprigionate, e poi non le sembrava giusto mostrargli come si faceva. Lungi da lei, soprattutto, l’intenzione di offenderlo. Con un brusco sospiro, Edward diede uno strattone più deciso cercando di forzare la cerniera, ma ormai quella si era bloccata in un punto dal quale non si muoveva più né avanti né indietro. Per il momento, Florence era in trappola nel suo vestito.

Ian McEwan, Chesil Beach, Torino, Einaudi, 2007, p. 69

Etichette:

venerdì, dicembre 12, 2008

Lettera aperta a Claudio Trotta: spostate gli eventi fuori dalle città

Gentilissimo Claudio Trotta,
lei è organizzatore di concerti da tempo immemore. Ha portato in Italia, e porta tuttora, alcuni tra i migliori artisti della scena internazionale, oltre ovviamente a organizzare i tour delle più importanti realtà di casa nostra. Non c’entra il singolo gusto specifico di ognuno di noi: a chi ama la musica non overground – perché a parlare di underground si entra in quel fangoso cono d’ombra chiamato snobismo – non importa certo degli artisti di cui lei è promoter, ma è innegabile che anche tra questa tipologia di fan della musica è riconosciuto il ruolo importante che lei svolge, insieme ad alcuni suoi colleghi concorrenti, nel non lasciare la nostra Italia povera nelle manifestazioni musicali di un certo livello.

È increscioso quanto sta succedendo per via del concerto tenuto da Bruce Springsteen lo scorso anno a S. Siro, giusto per citare il caso più famoso e balzato ora alle cronache. È increscioso che succeda questo per via di un manipolo di persone acide, represse e totalmente incuranti della vita artistica di una città, a maggior ragione di una città come Milano che non può permettersi di dormire. È ancora più increscioso perché è un acidume tipico di chi è abituato sempre e solo a brontolare, più per partito preso che per una specifica presa di posizione o convinzione personale; insomma, quel tipo di persona teorizzato qualche anno fa da Samuele Bersani in quella sua canzone dal titolo di “lo scrutatore non votante”, personaggio piatto e incline alla cattiveria e al menefreghismo, quello che “pulisce casa ma non ospita”, “ha comperato la stampante ma non scrive mai una lettera” e “conosce i nomi delle piante che taglia con la sega elettrica”: l’amorfo, in sintesi. Il limite dell’increscioso lo si raggiunge infine se si pensa che i concerti di un certo livello – quelli per cui i soliti brontoloni, appunto, brontolano – sono non più di quattro o cinque all’anno, avvengono in luoghi che già ospitano manifestazioni sportive che richiamano una enorme quantità di gente (nella fattispecie lo stadio di S. Siro o l’Arena Civica) e si eseguono a condizioni tecniche imbarazzanti (leggi: impatto audio inesistente). Certo, il rispetto di tutte le richieste e di tutte le opinioni è fondamentale; e infatti voi organizzatori nell’ambito di certi eventi operate con le mani legate da una serie di divieti e obblighi che a scorrerli viene da sorridere, per usare un eufemismo. Ma dal momento che a conti fatti le autorizzazioni ci sono tutte e tutto è in regola, perché siete organizzatori seri e scrupolosi e conoscete fin troppo bene come vanno certe cose, non è più il caso di parlare del rispetto del parere di una minoranza bensì di una minoranza che rompe le palle, ingiustamente, ad una maggioranza. Detto questo, non posso che solidarizzare con lei e con quanti, in un futuro o per cose successe in passato, correranno il rischio di trovarsi nella sua stessa situazione.

Accetti però un consiglio spassionato, da non addetto ai lavori ma da semplice fan della musica – over e underground. Smettetela di organizzare concerti in queste location, se il risultato da pagare è quello di una sanzione penale (ma anche una amministrativa sarebbe assurda, a un certo punto). Spostate i grandi eventi negli spazi aperti al di fuori della cerchia del centro cittadino. Certo, S. Siro stracolmo è un evento a prescindere dalla musica; è una chiesa e il concerto diventa una messa cantata, non c’è dubbio. Ma la storia ci insegna che anche eventi organizzati fuori da questi luoghi ‘sacri’ possiedono l’aura mistica che si cerca nel grande stadio: penso ai festival estivi, come se ne fanno oggi giorno o come se ne facevano anni fa, magari nei parchi, o nei piazzali isolati, o nelle vicinanze degli aeroporti (come si usa in Europa) o nelle sperdute cittadine delle campagne, che per un paio di giorni sembrano ben liete di ospitare tra loro una ciurmaglia variopinta di artisti e di ammiratori al seguito. Per rimanere in Italia, concerti come quello degli U2 a Reggio Emilia, o l’ormai celebre Vasco a Imola di qualche anno fa (per non parlare dei Monsters of Rock degli anni scorsi) sono sicuramente passati alla storia come eventi musicali di enorme portata, e nessuno di questi è stato fatto allo stadio Meazza. Al contrario, altri celebri eventi come il famigerato Bruce Springsteen dell’anno scorso, o sempre Vasco, o Zucchero (e prossiamente i Depeche Mode per i quali farei personalmente follie, tranne quella di ascoltarli ad un volume da sala d’aspetto), tutti a S. Siro, hanno portato con sé sì l’entusiasmo per l’evento, ma anche una dose di critiche per la bassezza squisitamente tecnica che non possono rimanere inascoltate (a differenza di quelle del comitato di quartiere). Con lo spostamento in altri spazi, lontano da chi sonnecchia e costringe una delle capitali mondiali a fare lo stesso, ne guadagneremo tutti: voi organizzatori che eviterete così di rodervi il fegato e noi spettatori che non saremo costretti ad assistere con il cono acustico a concerti dove il volume è talmente basso da essere una parte collaterale, anziché primaria, dell’evento il cui prezzo del biglietto – che, contentissimi, paghiamo sempre – non è certo dei più bassi. Si dice “vado a vedere i Rolling Stones”, ma si guarda anche - e soprattutto! - con le orecchie oltre che con gli occhi.

Con tutta la mia stima.

Etichette: , ,

lunedì, dicembre 08, 2008

[cit.]

Il Partito democratico, per essere fedele alla sua vocazione, dovrebbe collocare Berlinguer nella sua vera cornice storica: era un comunista internazionalista, sapeva benissimo come si finanziava il partito (rubli e tangenti molto ben organizzate e lubrificate e nascoste alla vista), ma usava la questione morale e della diversità antropologica dei comunisti a fini di lotta politica e di potere, agitando quello che l’irriverente Pajetta definì il suo passaggio “dal materialismo al moralismo storico” come bandiera di una visione ideologica totalitaria della società e del primato del partito integro e puro. È con questo angusto fantasma che volete fare un partito moderno, obanista democratico all’americana?

Giuliano Ferrara, Il Foglio - 08.12.2008, p. 1

domenica, dicembre 07, 2008

la pagina 69 di Marshall McLuhan - 1

Quando non mi va di rientrare a casa dal Vecchio Strabico, lui a dormire non mi tiene (ha una donna, dice Comare Volpe, potrebbe venire in qualsiasi momento), vado a dormire su una panca delle Tuileries, ormai il gelo più crudo è passato, non sarà per un po’ di pioggia. Dormo veramente dappertutto. Secondo lui, gran lavoratore indefesso, «Beato te, che sei qui a Parigi a goderti la vita!». Nelle notti fredde di neve, quando dalle sue carità non ho rimediato neppure il biglietto del métro per rientrare a Fontainebleau – ho vergogna a chiedergli dieci franchi di nuovo – mi prende la paura che, steso sulla panca, si stenda accanto a me, venefica, la nevralgia del trigemino che mi è venuta via militare. Insomma: loro non volevano esonerarmi, io mi sono incaponito sull’articolo 28, quello dei matti e degli omosessuali, poi mi è saltata addosso ‘sta nevralgia, all’ospedale militare di Arezzo non credevano a niente. Ma io che ci facevo via militare senza una lira? un anno a scroccare nazionali semplici ai pastori sardi? un anno a massaggiarmi la faccia e con la congiuntivite e a guaire dal male e loro a dirmi non me la racconti giusta?

Aldo Busi, Seminario Sulla Gioventù (1984), Milano, Mondadori, I edizione Oscar Classici Moderni settembre 2007, p. 69

Etichette:

Brian Eno & Robert Fripp, "No Pussyfooting"

Due Revox a bobine: il primo registra e invia il segnale al secondo, che si limita a riprodurlo. Il secondo poi rimanda il tutto al primo, dentro il quale il segnale viene ‘addizionato’ di nuova materia proveniente dalla chitarra Robert Fripp. Un ciclo loop, molto artigianale e molto ante-litteram (e molto cervellotico, certo), quello ideato da Brian Eno per creare ambienti musicali dalla materia grezza fornita da Fripp, il quale poi è chiamato anche a riempirli, tali ambienti. Un lavoro molto concettuale, e allo stesso tempo quasi una sorta di improvvisazione, se è vero che la sintonia tra i due musicisti doveva essere massima. Questa l’idea di base di No Pussyfooting, il disco del 1973 che segna la collaborazione tra i due musicisti – Eno reduce dall’esperienza con i Roxy Music, Fripp in pausa dai suoi King Crimson – e segna soprattutto la nascita di un certo tipo di musica, elettronica e derivata dall’uso creativo – al pari di uno strumento musicale – dei nastri magnetici. Il risultato è un delay decadente, non infinito; non vi è una scansione temporale ‘classica’, ma l’unica idea di tempo è derivata dalla comparsa/scomparsa di nuovi tessuti, di nuovi strati che si sostituiscono a quelli vecchi.
Il disco viene riproposto oggi in una nuova confezione e con l’aggiunta di bonus tracks, che altro non sono se non alcune versioni rallentate o suonate al contrario dei due brani che comparivano originariamente sull’album: “The Heavenly Music Corporation” (che inizialmente doveva essere anche il nome del progetto) e “Swastika Girl” (frutto dell’ispirazione dettata da un’immagine nazi-porno trafugata da Eno dallo studio di George Martin e affissa dai due sopra la consolle di registrazione).

Etichette: , ,

do you want me to fix your leaky toilet?

Qualcuno di voi si ricorda di Joe ‘the plumber’? Era quell’idraulico che, per un momento, si pensò potesse cambiare le sorti della campagna elettorale americana. Fece una domanda a Barack Obama sulla tassazione, lo mise in difficoltà e per un paio di giorni non si parlò d’altro. Si scoprì poi che il suo odio nei confronti delle tasse era talmente elevato da fargliele addirittura evadere, e la cosa si sgonfiò immediatamente. Fino a quando arriva nelle librerie americane un suo libro, e qualcuno gli consiglia caldamente di lasciar perdere.

giovedì, dicembre 04, 2008

zozzoni.

Da domani, ritorna in edicola l'edizione italiana di Playboy.

Etichette: ,

Sky ora può smetterla di piangere.

La rassegna stampa mattutina di SkyTG24 è un appuntamento imperdibile per quanti vogliono una panoramica della stampa nazionale appena svegli. Si è sempre distinta per un certo equilibrio e, soprattutto, per la voglia di dare la notizia, non di farla. Da qualche mattina, ovviamente, l’attenzione è concentrata sulla querelle tra il Governo e Sky per via dell’innalzamento dell’Iva al 20%. Giustamente, si dirà, l’azienda si difende e, nel farlo, usa tutti i mezzi possibili: nei giorni scorsi la stampa italiana rappresentava per la tv di Murdoch uno di questi mezzi, essendo per la stragrande parte schierata proprio con la tv satellitare. Ieri l’UE ha però ‘benedetto’ l’innalzamento, spiegando che al contrario avrebbe dovuto far partire sanzioni e che l’idea di ritoccare l’Iva era già stata chiesta al precedente governo, e i giornali di stamattina hanno, come giusto che sia, dato questa notizia. La rassegna stampa di SkyTG24, che come abbiamo appena finito di dire è solita darle le notizie, e non farle, si è comportata però in modo birichino.
Prima cosa: ieri mattina, sulle prime pagine di Corriere della Sera e Stampa, capeggiavano due corsivi non firmati, attribuibili ai due direttori, che prendevano giustamente le difese dagli attacchi del Presidente del Consiglio; la rassegna stampa ne ha dato piena lettura e, tacitamente, pieno consenso. Stamattina sulla prima pagina del La Stampa c’era ancora un corsivo non firmato contenente un’ulteriore difesa del quotidiano torinese, corsivo che si apriva però – e questo è il punto – con la notizia del pronunciamento da parte della UE («L’Europa riconosce la correttezza del comportamento del nostro governo sulla vicenda dell’aumento delle aliquote Iva sulla pay-tv» La Stampa, 04.12.2008, p. 1). Il giovane conduttore della rassegna stampa ha glissato, passando velocemente a presentare il quotidiano successivo. Stessa sorte capitata a Il Giornale: titolo di apertura «Iva sulla Tv, l’Europa spegne Veltroni» (04.12.2008), con il sottointeso che Veltroni la può anche smettere di fomentare una rivolta del telecomando a pagamento, avendo la commissione europea dato ragione all’Italia. E alla rassegna stampa cosa succede? Si legge il titolo in due secondi e si zooma sulla foto notizia centrale («La Lega: stop alle nuove moschee»), in modo tale che al telespettatore non venga lasciato modo di leggere, lentamente, il titolo principale. Vengono passati in rassegna altri giornali e si arriva al Foglio, il quale per onore del vero non sempre è presente in questa rassegna stampa. Oggi però è diverso, il quotidiano di Giuliano Ferrara in modo tra il serio e il faceto da un paio di giorni si è schierato con la tv satellitare e con la sua battaglia, considerandola giusta al pari di quelle condotte a suo tempo in favore delle televisioni del Cav. (un parallelismo, seppur debole, in effetti è presente). Nella quinta colonna di prima pagina, la «colonna sexy» come la battezzano spesso e volentieri dalle parti di Lungotevere Raffaello Sanzio, c’è il consueto articolo di Annalena Benini, che parla ancora della questione Iva-Sky, all’apparenza positivamente (per Sky). Dopo tutto quello scorrere veloce, è giunto il momento di dare lettura di un articolo, e viene scelto proprio questo, dall’attacco fulminante: «quanto sia superfichissimo Sky l’abbiamo detto. Come non potremmo mai più vivere senza, anche. Ci ha venduto per qualche decina di euro al mese un po’ di mondo: si può fingere di guardare David Letterman senza mai gettare un occhio ai sottotitoli, ci si può stordire di partite e di meravigliose serie americane, parlarne a cena, farci sopra della sociologia, sentirsi sempre appena tornati da New York. E in tempi di crisi si può anche taccagnare su quei quattro euro in più al mese e sul rigido Cav. che contro la sua stessa essenza tassa il sogno, la boccata d’aria, le ultime risate» (Il Foglio, 04.12.2008, p. 1). Il conduttore è in un vero e proprio brodo di giuggiole, non gli par vero di poter parlare – anche oggi – così bene dell’azienda: qualcuno ai piani alti sarà sicuramente contento. Noi, lettori attenti, un po’ meno: perché del resto dell’articolo, nella rassegna stampa, non è dato conto: saltato a piedi pari il passaggio sulle uova di struzzo protagoniste del nuovo spot tv anti-governativo («avranno cinque milioni di entusiasti abbonati, queste uova?»), sulla maestrina Ilaria D’Amico («a guardarla che incanta di pomeriggio i tifosi appellandosi accorata alle famiglie […] viene un po’ da ridere») e sulla «guerra delle brioches combattuta da quelli che ritengono miserabile la social card e poi si indignano perché il povero compagno Murdoch sarà costretto […] ad aumentare di quattro euro il canone della pay-tv, ovvero [della] televisione satellitare a pagamento preferibilmente vista su televisori al plasma appesi ai muri, è follia prenatalizia, è puro intrattenimento». Per non parlare – ma noi qui l’abbiamo già fatto – della questione di SkyMagazine «che è orrendo e non è nemmeno omaggio».
Ma il capolavoro, nella rassegna stampa di questa mattina, è stato raggiunto in un altro momento, e riguarda il fatto che se l’UE – è stato ammesso, a denti stretti – ha parlato di livellamento delle aliquote, lo avrebbe fatto la ribasso (cioè, si sarebbe dovuto portare tutto al 10%, non al 20%). Ora, che questo sia il pronunciamento ufficiale dell’UE non mi sembra, anzi, pare che in questo senso sia data facoltà al governo di decidere. Nonostante tutto, presentando la prima pagina de Il Messaggero, il giovane giornalista è arrivato addirittura a modificare l’occhiello del titolo principale del quotidiano romano, portandolo da «Bruxelles chiude il caso: l’allineamento delle aliquote andava fatto» (Il Messaggero, 04.12.2008, p. 1) a «Bruxelles chiude il caso: l’allineamento delle aliquote andava fatto al 10%», con tanto di spiegazione al gentile pubblico. Ma, di grazia, da dove salta fuori quel «al 10%»? Dai piani alti della redazione? Dal manager di Sky? Da Rupert Murdoch in persona? Suvvia, possiamo star qui a ragionare sulla questione più o meno opportuna di alzare tutto al 20% o di tenere tutto al 10%. Però, spulciando qua e là documenti europei (VAT Rates applied in the Member States of the European Community, situation at 1st July 2008, doc. 2441/2008 – EN, reperibile qui) si scopre che in Danimarca l’Iva sulle pay –tv è al 25%, in Germania al 19%, in Irlanda al 21%, in Olanda al 19%, in Portogallo al 20%, in Finlandia al 22%, in Svezia al 25%, nel Regno Unito al 17,5%, in Spagna al 16% (solo per citarne alcuni). Tutti valori corrispondenti all’aliquota più alta nei singoli paesi, ovvero a quella che in Italia è al 20%. Perché dovremmo abbassare tutto al 10% (regime di cui, ricordiamo, Sky ha goduto fino all’altro giorno, quando i paesi sopra citati applicavano già quelle aliquote)?
Sky offre un servizio importante, è fantastica, dà assuefazione e chiunque abbia avuto una nevicata sulla parabola nei giorni scorsi (con conseguente oscuramento temporale del segnale) può capirmi. Per dirla con il Ministro Tremonti: «Toglietemi tutto ma non Sky». Ora mi pare però che si stia un attimo esagerando.

Etichette: ,

martedì, dicembre 02, 2008

questione di livelli, non di tifosi di calcio.

Abbiamo assistito ad una comica incredibile: gente di sinistra che si è schierata con Rupert Murdoch, Veltroni che difendeva una grottesca categoria composta dai tifosi di calcio, urla e schiamazzi di ogni tipo da ogni dove. La questione, da qualunque parte la si vedeva, si è rivelata più semplice di quel che pareva: «c'è un carteggio tra la commissione Ue e il governo Prodi che prevede l'impegno del governo ad allineare le aliquote. L'impegno scadeva in questi giorni». Così il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti chiude ogni possibilità di ritornare indietro sull’innalzamento dell’Iva sugli abbonamenti Sky: l’Ue chiedeva che l’imposta venisse livellata, ed è stata livellata al 20%, come pare avesse deciso anche il predecessore di Tremonti Vincenzo Visco. Dunque non un favore a Mediaset da parte del Presidente del Consiglio, né una voglia di torturare i contribuenti (con cosa poi, con una manciata di euro in più per un abbonamento?). Da abbonato, non sarebbe male veder passare ora uno di quegli spot che girano in questi giorni sui canali satellitari, in cui però si specifica quella che si è rivelata essere la verità: ovvero che l’innalzamento dell’Iva non è uno scherzo del nuovo Presidente del Consiglio, ma era già stata tramata da quel vecchio amicone di Romano Prodi, quello a cui un microfono e un’oncia di visibilità sul canale allnews non era mai negata.

Etichette: , , ,

lunedì, dicembre 01, 2008

chi compra casa e chi s'indigna tardi

1. Beppe Grillo compra casa a Lugano ma «solo per il blog», precisa, perché ha paura che in Italia possano chiuderglielo da un giorno all'altro. D'altronde a lui il pubblico piace imbecille, in modo tale da poterlo ammaestrare come meglio crede. E meno male che di imbecilli – almeno di quel tipo – ce ne sono sempre di meno. A meno che siano ancora in molti a pensare che per un dominio - rimanendo sulla svizzera - .ch si debba andare là. E, nel caso, c'è sempre il .com, o il .org, o il .net.

2. Quelli di Sky sono incazzati perché l'Iva sui loro abbonamenti è stata raddoppiata, passando dal 10% al 20%. E hanno preparato uno spot pieno di indignazione per il Governo e che invita gli abbonati a far sentire la loro voce, si presume di protesta, alla segreteria della Presidenza del Consiglio tramite e-mail. Complimenti alla solerzia. Peccato che non lo siano stati, solerti intendo, nel prendersi cura dell'abbonato e dell'avvisarlo come si deve all'epoca del passaggio da gratuito a pagamento di Sky Magazine.

Etichette: ,