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martedì, marzo 31, 2009
sabato, marzo 28, 2009
quella volta che la musica è stata uccisa due volte, e sempre dalle stesse persone
Ma il punto di questo post, evidentemente, è un altro. Il libro di Gino Castaldo l’ho comprato sul finire dello scorso anno, appena uscito (quella in mio possesso è la prima edizione – novembre 2008). L’ho letto, come detto, tutto di un fiato. Ne ho apprezzato l’analisi, talvolta anche alcuni sfoghi ma – ripeto – non la tesi di fondo. Quello che interessa a me, ora, è una questione più cronologica che di merito. Ricordate: novembre 2008.
Salto nel tempo. Sul Foglio [28-03-2009, p. IX] Stefania Vitulli scrive una paginata in memoria della musica che fu. Quella dei suoi tempi – par di capire gli anni Ottanta, e il post-punk di Cure e Siouxsie & The Banshees, seppur viene difficile capire come, da adolescenti, insieme ai due gruppi sopracitati quelli della sua generazione avevano anche i Nirvana, ma vabbé. La musica che fu e che ora non si ritrova più nei dischi, semmai nei romanzi scritti da ex artisti del periodo o che hanno per protagonisti personaggi che ascoltano quegli artisti. Una piccola morte della musica anche in questo caso, sebbene sembrerebbe essere una morte della musica che piace alla Vitulli anziché – come nel caso di Castaldo – della musica di massa in generale. Anche qui, però, non entro nel merito più di tanto. Ciò che ha attirato la mia attenzione, nel pezzo della Vitulli, è è il modo in cui la musica è morta, modo che tanto mi ha ricordato qualcosa di già sentito, di già letto – ma di non citato, in mezzo a tante altre parole, questa volta citate e virgolettate, già sentite e già lette. Precisamente, quanto segue (i corsivi sono miei):
perché in fondo [la musica] è morta infinite volte, no? La musica è finita un’infinità di volte: quando Schönberg [sic!] disse che il futuro era “una melodia di timbri”. Quando David Tudor a Woodstock eseguì il silenzio intitolato di Cage 4’33’’. Quand precipitò l’aereo con a bordo Buddy Holly, Richie Valens e Big Bopper Richardson. Quando Sid Vicious è annegato nel vomito, Robert Wyatt è caduto da una finestra, Mark Chapman ha ucciso John Lennon e Eminem ha lasciato che il suo fan Stan si suicidasse prima di aver letto i suoi appelli disperati. E via così.
Urca, se l’avevo già sentito. E mica mi sbagliavo. Prendo in mano il volumetto del Castaldo, apro a p. 6 e leggo (i corsivi sono sempre miei):
La musica è finita un’infinità di volte. È finita quando Schöenberg disse che il futuro era una melodia di timbri [senza il virgolettato attribuibile al compositore]. È finita il 29 agosto del 1952 quando per la prima volta David Tudor (guarda caso a Woodstock) eseguì il silenzio intitolato da Cage [«da» Cage e non «di» Cage, come nel pezzo della Vitulli] 4’33’’, una suite in tre movimenti in cui il pianista si limitava ad abbassare e rialzare il coperchio del pianoforte per segnalare il passaggio tra un movimento e l’altro. È finita quando l’innocenza del rock’n’roll precipitò il 2 febbraio del 1959 con l’aereo che portava a bordo Buddy Holly, Richie Valens (che aveva vinto il posto in aereo giocandoselo a testa o croce col chitarrist Tommy Allsup, usando una moneta da 50 cent) e Big Bopper Richardson. È finita quando i Kraftwerk capirono che anche un’autostrada aveva una sua propria musica da esprimere, è finita nel vomito di Sid Vicious, è finta il primo luglio del 1973, quando Robert Wyatt cadde per motivi mai del tutto chiariti da una finestra del quarto piano, è finita quando Mark Chapman ha ucciso John Lennon, è finita quando i Devo hanno detto che Satisfaction l’avevano scritta loro che i Rolling Stones l’avevano copiata vent’anni prima, è finita quando Fabrizio De André decise di far iniziare Nuvole in sua assenza, annullando se stesso e con sé anche la figura del bardo-cantore, è finita quando Eminem ha lasciato che il suo fan Stan si suicidasse prima di aver letto i suoi appelli disperati, è finita quando si Sigur Rós hanno inventato una propria indecifrabile lingua dichiarando che non aveva alcuna importanza che qualcuno capisse o no quello che stavano cantando.
Al di là di quest’ultima affermazione sulla lingua dei Sigur Rós (il gruppo francese Magma, per dire di un esempio, negli anni Settanta cantava in una lingua inventata, il Koboïano), la considerazione sul chi ha copiato chi è fuori discussione. Ricordate la data del libro di Castaldo, novembre 2008? Bene, la Vitulli che non ha messo le virgolette forse credendo che non fossero necessarie avendo cambiato una preposizione e saltato un paio di gruppi nell’elenco, poteva almeno citare il libro come ha fatto per altri titoli. Una forma di correttezza, nient’altro.
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lunedì, marzo 23, 2009
Boom!
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Aan meets Eyes like Saucers, "Kristallivirta"
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Anche io svendo i miei pensieri a qualcuno che li gestisce sul blog
Scusate, ma che senso ha fare un giornale come Wired e “appaltare” la gestione del sito internet del giornale a gente totalmente indipendente dalla redazione del cartaceo?
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sabato, marzo 07, 2009
affettuosità editorial-musicali.
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m'inquieta.
Detto questo, delle indagini sul delitto di Garlasco c’è un qualcosa che mi inquieta di più di tutto questo sputare sentenze contro o a favore di vento. Mi inquieta da persona esterna, mi disturba nella misura in cui solo chi non ha sentimenti in gioco nella questione può essere disturbato. Mi disturba cinicamente, se solo mi distraggo un attimo da quella che è la questione principale. E l’oggetto del disturbo è la pubblicazione – su giornali, tv e internet – di fotografie private che nulla tolgono e nulla aggiungono non all’indagine, ma alla percezione che il pubblico – esterno alla cosa, è bene ricordare – si forma del caso. Semmai, la percezione, la distorcono. Per quale motivo, mi chiedo, pubblicare le foto di Alberto Stasi, Chiara Poggi e terzo amico assolutamente estraneo alla vicenda, sorridenti in quel di Londra? Perché mostrare una sua foto, in vacanza, e farci una didascalia del tipo «ecco l’ultima foto in vita di Chiara Poggi». Perché porre continuamente l’accento sul fatto che sembrano tre (due più l’intruso, l’amico, ora catapultato in prima pagina) ragazzi normali, spensierati, quando non si capisce quale vuole essere il corollario della dimostrazione che ha come premessa questa normalità? Perché?
Salendo di un paio di scalini sulla strada che conduce al cinismo più bieco, mi spingo più in là. Pare che sul computer di Alberto Stasi siano state trovate delle fotografie di piedi femminili, catalogati in una sottocartella dal nome amateur o qualche bizzarria del genere. Ecco, sto giungendo alla conclusione senza nemmeno sforzarmi: perché mai io lettore, io spettatore, dovrei essere a conoscenza di questa cartella? Non dovrei, e infatti non lo sarei se il tg delle 20 non me l’avesse detto; e una volta che me l’ha detto, penso che debba per forza essere d’interesse. Che poi, scusate, stiamo parlando di fotografie di piedi infilati in scarpe, sandali, infradito, fatte con il cellulare e tenute in una cartella – nemmeno divulgate, ecco. Va bene, forse è un’azione illegittima. Ma viviamo nel 2009, riusciamo a scattare fotografie e girare brevi e non filmati pure con la penna a sfera, per cui non riesco a capire quale grave indizio di colpevolezza o di perversione sia l’avere fatto un paio di foto ai piedi di turiste – se in Italia – o di pulzelle autoctone se il turista al momento era il fotografo. Ecco, tutto questo proprio non me lo spiego. Non l’avrei voluto nemmeno sapere, perché potrei farmi un’idea sbagliata, e non sarebbe giusto. Metti che poi il giudice, quello vero, decida che Stasi in carcere non ci debba nemmeno andare, figuriamoci addirittura marcire?
venerdì, marzo 06, 2009
Carlo Rossella al Corriere?
«Chi si muove suda e perde di vista la carriera. Rossella non ha mai sudato tranne che nella sauna». Così Vittorio Feltri [Libero, 06.03.2009 – p.1] anticipa la possibile (?) futura direzione di Carlo Rossella al Corriere della Sera.
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Un tanto al milione
Stamattina a SkyTG24, a commentare in studio la notizia dell'ennesimo ritorno sulle scene di Michael Jackson, c'era uno dei più pittoreschi, dei più simpatici, dei più storici e – perché no? - anche dei più bravi critici musicali italiani: Paolo Zaccagnini, un uomo chiamato virgola. Certo che però affermare che Thriller abbia venduto «33-34 milioni di dischi» è decisamente impreciso oltre che irrispettoso - milione più, milione meno?. Piacca o meno, a seconda delle fonti si oscilla tra i 100 e i 109 milioni, con la Sony che dichiara di venderne ancora all'incirca 500.000 copie l'anno.
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giovedì, marzo 05, 2009
per i soldi basta mettere gli Adsense
parallelismi di carta (stampata)
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mercoledì, marzo 04, 2009
così difficile?
Poche balle, bastava dire che c’è crisi, che si raccoglie meno pubblicità e che la carta costa. Punto.
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Un omone adorabile - e un ometto un po' meno.
«Il cuore del messaggio è questo: in una Milano troppo morbida e troppo mielosa, la Milano dei Gino strada e degli interismi alla Gad Lerner, arriva finalmente un uomo che invece di portare la pace porta la guerra [...] Stiamo diventando tutti interisti. O meglio io sto diventando interista, perché sono un famoso voltagabbana. Invece gli altri redattori mantengono le preferenze. Ho un vicedirettore interista, un altro romanista. E quindi sono bene equilibrato da questo punto di vista. Io stesso sono romanista, ma per Mou potrei anche diventare un interista accanito.»
Con qualche giorno di ritardo, anche il Corriere della Sera si è accorto che il Foglio ha lanciato una nuova campagna, questa volta pro-Mourinho.
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martedì, marzo 03, 2009
a maggio Il Fatto, quotidiano di ispirazione dipietrista?
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New York Times a tutto spot.
Oggi pubblica un fascione pubblicitario anche sulla home page del suo sito. Un mio amico mi chiama e mi dice: «hai visto? Almeno è la pubblicità del nuovo MacBook Pro.»
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Mah.
Etichette: wired italia, wireditalia
vola merda, ma io sono di destra.
Alla conclusione di tutto si segnalano due autorevoli opinioni: Malvino che parla di «merda che vola» da una parte all’altra, Filippo Facci sul Giornale che conclude secco: «se non ve ne frega niente siete di destra».
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Rendi potrebbe risollevare anche l'Audiradio.
Le cose, però, potrebbero cambiare anche qui da noi. Se non proprio nella rilevazione dei dati di ascolto radiofonici, almeno per quanto riguarda lo stabilire quale pezzo è stato passato – e da chi – in quale momento della giornata, in modo tale che la Siae e la Scf (Società Consortile Fonografici) possano riscuotere i diritti e ridistribuirli più equamente agli aventi diritto. L’innovazione si chiama Rendi ed è il risultato di una ricerca condotta all’Università di Padova da Nicola Orio il quale, dopo aver completato il lavoro, ha chiesto alla Direzione Musica di RTI (gruppo Mediaset) una partnership per avviare un periodo di prova. Il funzionamento è del tutto simile a quello dello svizzero Radiocontrol: riuscendo a isolare i rumori di fondo – almeno questa è la promessa – Rendi capterà quale musica sta suonando nell’ambiente circostante e confronterà il risultato con i brani presenti nel suo database. I vantaggi? Chi trasmette musica non dovrà più occuparsi di redigere i rendiconti di ciò che trasmette, e chi amministra i diritti avrà una fonte in più di sicurezza su quanto passato. Ovvero: basta con le tariffe forfettarie pagate da chiunque trasmetta musica in base a criteri ormai obsoleti, e basta dunque anche alle ridistribuzioni dei compensi che premiano sempre i soliti (la cosiddetta ripartizione supplementare della SIAE). Rendi sarà soprattutto «in grado di diventare una nuova fonte di guadagno per la discografia», nelle parole di Guido Dall’Oglio, responsabile della Direzione Musica di RTI.
Ora, una volta tanto che si è giunti a un buon sistema – pure prendendo spunto da analoghi strumenti già disponibili – perché non utilizzarlo su larga scala? Non per ribadire tutte le volte i medesimi concetti, ma il sistema di rilevazione degli ascolti radiofonici in Italia è pessimo, e questo tutti gli operatori del settore sono pronti a testimoniarlo (fatta eccezione per quelli che, ogni trimestre di pubblicazione dei dati, occupano il posto più alto). Dotando un campione significativo di ascoltatori di un apparecchio come Rendi, sarebbe possibile determinare in modo più fedele i dati di ascolto, e quindi riuscire a delineare meglio le caratteristiche delle varie fasce orarie. Tradotto in parole povere: i direttori artistici (e gli editori) saprebbero cosa va e cosa non va nella loro stazione grazie a dati fedeli, e allo stesso tempo potrebbero meglio pianificare la vendita di pubblicità, invogliando ad acquistare spazi con la consapevolezza che ci si può rivolgere a un target ben preciso (o ad un bacino di ascolti altrettanto consistende) al giusto prezzo. Sarebbe una rivoluzione tanto attesa.
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domenica, marzo 01, 2009
per il resto, sono solo fatti degli altri.
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